L'elezione di Trump è un duro colpo per il clima, ma sul lungo periodo gli Usa potrebbero uscirne sconfitti

L'elezione di Trump è un duro colpo per il clima, ma sul lungo periodo gli Usa potrebbero uscirne sconfitti


L'elezione di Donald Trump e il suo ritorno al potere rappresentano un colpo significativo per le politiche climatiche globali, dato il suo chiaro impegno a smantellare iniziative nazionali e internazionali per contrastare i cambiamenti climatici. Tra queste, figura l'uscita degli Stati Uniti dall'Accordo di Parigi e l'abbandono delle istituzioni delle Nazioni Unite come l'IPCC, determinando un disimpegno completo su tematiche climatiche proprio mentre la scienza avverte che il tempo per agire sta per scadere.

Il mondo scientifico, attraverso l'osservatorio Copernicus, prevede che il 2024 sarà l'anno più caldo mai registrato, con un aumento della temperatura media di 1,55°C rispetto al 1880. Questo rende ancora più drammatica la minaccia di un ritorno degli Stati Uniti a una politica climatica basata sui combustibili fossili, con il rischio di compromettere i progressi fatti finora a livello globale. Tuttavia, rispetto al 2016, molte voci si sono sollevate per contrastare questa tendenza. Jonathan Pershing, ex inviato speciale per il clima, ha sottolineato che oggi esistono strumenti e strategie per opporsi alla propaganda negazionista, mentre altre organizzazioni, come il Natural Resources Defense Council, promettono di utilizzare ogni risorsa disponibile per proteggere l'ambiente.

A livello interno, Trump conta su un'opinione pubblica che non considera il cambiamento climatico una priorità urgente, piazzandolo solo al 17° posto su 21 questioni di interesse degli elettori. Ma sul piano internazionale, gli Stati Uniti rischiano un forte isolamento. La Cina, ad esempio, sta rapidamente avanzando nelle tecnologie a basse emissioni, e anche nel 2016 nessuna nazione seguì l'uscita degli Stati Uniti dall'Accordo di Parigi. Trump sembra dirigere il paese verso una sorta di autarchia energetica basata sui combustibili fossili, rischiando di rallentare o fermare lo sviluppo delle energie rinnovabili. Questo potrebbe avere conseguenze negative anche per l'economia interna, poiché i tagli ai finanziamenti, come quelli previsti dall'Inflation Reduction Act (IRA), frenerebbero l'innovazione nelle tecnologie verdi, lasciando le imprese statunitensi indietro rispetto ai competitor globali.

L'applicazione di dazi sulle tecnologie verdi, inoltre, potrebbe limitare l'accesso delle aziende americane a strumenti cruciali per migliorare la produttività energetica, danneggiando l'industria a lungo termine. Trump sembra concentrato sulla riduzione dei costi dell'energia per favorire la competitività interna, ma secondo molti analisti, questo approccio potrebbe rivelarsi controproducente nel medio-lungo periodo. Infatti, dopo un periodo di politiche energetiche basate sui fossili, gli Stati Uniti rischierebbero di ritrovarsi indietro in un mercato globale dominato da nazioni che avranno investito massicciamente nelle tecnologie verdi, come la Cina, l'India e forse l'Europa.

Questa strategia rischia quindi di essere un boomerang per l'economia e per la competitività statunitense, lasciando il paese in una posizione di debolezza nel contesto internazionale. Inoltre, l'aumento delle emissioni causato dalle politiche di Trump potrebbe far arretrare i progressi climatici di un decennio, accumulando tonnellate di CO2 nell'atmosfera e aggravando ulteriormente la crisi climatica. Tuttavia, esiste ancora la possibilità che le comunità nazionali e internazionali si oppongano a questa deriva, come avvenne negli anni '70 durante la guerra del Vietnam, costringendo gli Stati Uniti a riconsiderare la loro posizione.


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