Dieci anni dopo l’Accordo di Parigi, il pianeta resta fuori traiettoria: le emissioni continuano a crescere

Dieci anni dopo l’Accordo di Parigi, il pianeta resta fuori traiettoria: le emissioni continuano a crescere


A dieci anni dalla firma dell’Accordo di Parigi sul clima, il mondo è ancora lontano dagli obiettivi fissati. Nel 2024 le emissioni globali di gas serra sono aumentate dell’1,3% rispetto al 2023 e del 4,7% rispetto al 2019, secondo il rapporto Edgar del Joint Research Centre della Commissione Europea. Le emissioni hanno raggiunto un nuovo record: 53,2 miliardi di tonnellate di CO₂ equivalente, senza contare quelle derivanti da deforestazione e uso del suolo.

Le otto nazioni con l’impatto maggiore — Cina, Stati Uniti, India, Unione Europea, Russia, Indonesia, Brasile e Giappone — sono responsabili del 62% del totale. Tra queste, solo Ue e Giappone mostrano un calo: l’Europa ha ridotto le emissioni dell’1,8% (5,9% del totale globale), il Giappone del 2,8%. Tutti gli altri registrano aumenti: Cina +0,8%, Usa +0,4%, Brasile +0,2%, mentre l’Indonesia (+5%), l’India (+3,9%) e la Russia (+2,4%) segnano rialzi più forti. Il 2024 è stato inoltre segnato da gravi incendi, soprattutto in Sud America e Canada.

Grassi (IPCC): “Situazione complessa, ma con segnali incoraggianti”

Secondo Giacomo Grassi, membro italiano dell’IPCC, il quadro è “a luci e ombre”. Le emissioni globali crescono ancora, ma più lentamente rispetto al passato. Nell’Unione Europea, osserva, i gas serra sono diminuiti del 37% rispetto al 1990, mentre il Pil è aumentato del 68%. “È la prova che sviluppo economico e sostenibilità possono coesistere”, sottolinea.

Rispetto al 1990, le emissioni statunitensi sono calate del 5%, mentre la Cina le ha quadruplicate e il Brasile le ha raddoppiate.


Gli obiettivi restano lontani

Il Programma ambientale delle Nazioni Unite (Unep), nel suo ultimo Emission Gap Report, avverte che per limitare il riscaldamento globale entro 1,5°C entro la fine del secolo, le emissioni dovrebbero ridursi del 42% entro il 2030 rispetto al 2019. Invece, lo scorso anno hanno registrato un aumento del 4,7%.

Grassi evidenzia che siamo “a un bivio”: da un lato, gli scenari più catastrofici sembrano meno probabili grazie alla transizione energetica in corso; dall’altro, il rallentamento dell’impegno climatico degli Stati Uniti potrebbe frenare i progressi globali. Tuttavia, avverte: “Rallentare non significa fermarsi. Le energie rinnovabili continuano a espandersi rapidamente in tutto il mondo, e la transizione verso un’economia a basse emissioni è ormai irreversibile, spinta da ragioni fisiche, economiche e geopolitiche”.


Verso la Cop 30: la prova degli impegni nazionali

Un ruolo decisivo sarà giocato dagli impegni climatici (NDC) che i governi presenteranno alla Cop 30, in programma a Belém, Brasile, dal 10 al 21 novembre.

La Cina, principale emettitore globale, ha annunciato di voler ridurre le proprie emissioni del 7-10% entro il 2035 rispetto al picco previsto per il 2025, grazie all’espansione di solare, eolico e mobilità elettrica. Il Brasile punta a un taglio compreso tra 59% e 67% entro il 2035 rispetto al 2005. L’Unione Europea, invece, non ha ancora presentato la nuova versione del suo NDC, ma ha dichiarato l’intenzione di ridurre le emissioni tra il 66,3% e il 72,5% entro il 2035.

Questi impegni saranno fondamentali in vista del prossimo Global Stocktake, il processo di revisione periodica previsto ogni cinque anni dall’Accordo di Parigi. “Serve a capire dove siamo rispetto alla traiettoria necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici di lungo termine”, spiega Grassi. Il primo Stocktake, concluso nel 2023 durante la Cop 28, ha inviato un messaggio chiaro: gli sforzi attuali non bastano, e il tempo per correggere la rotta sta finendo.

Le proiezioni attuali indicano un aumento medio della temperatura globale tra 2,5 e 3 gradi entro la fine del secolo, ben oltre i limiti stabiliti a Parigi. “Come dicono gli inglesi — osserva Grassi — if you don’t measure it, you can’t manage it: se non misuri, non puoi gestire. Vale anche per il clima”.


Il ruolo cruciale delle foreste

Il settore più difficile da monitorare resta quello forestale, ma anche uno dei più importanti. Le foreste assorbono circa un quarto delle emissioni globali di CO₂, e sono quindi fondamentali per raggiungere la neutralità climatica. Tuttavia, calcolare con precisione quanto carbonio viene assorbito è complesso, soprattutto per distinguere l’assorbimento naturale da quello influenzato dall’attività umana.

“A livello globale — spiega Grassi — queste incertezze rendono complicato capire esattamente dove ci troviamo rispetto ai nostri obiettivi, come se ogni Paese usasse una bilancia diversa”. La ricerca scientifica sta cercando di uniformare i metodi di calcolo in vista del prossimo Global Stocktake del 2028.

Alla Cop 30 uno dei temi centrali sarà proprio la tutela delle foreste tropicali. Il Brasile proporrà la creazione del fondo internazionale “Tropical Forests Forever Fund”, con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione globale per la conservazione delle foreste e definire un nuovo modello di finanza climatica sostenibile.


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