Cassazione: via libera alla causa climatica contro Eni

Cassazione: via libera alla causa climatica contro Eni
La Corte di Cassazione ha stabilito che il processo civile avviato dagli ambientalisti contro Eni dovrà continuare presso il Tribunale ordinario di Roma. La vicenda riguarda le accuse mosse alla compagnia energetica, ritenuta responsabile di aver contribuito in modo rilevante al riscaldamento globale con le proprie attività legate ai combustibili fossili.
Nell’ordinanza, pubblicata il 21 luglio, i giudici hanno chiarito che la competenza spetta alla giustizia italiana, respingendo le obiezioni della società. La causa era stata promossa a maggio 2023 da ReCommon, Greenpeace Italia e dodici cittadini italiani, che hanno chiamato in causa anche i principali azionisti di Eni – il Ministero dell’Economia e la Cassa depositi e prestiti – per gli impatti del cambiamento climatico, soprattutto sulla salute delle persone.
Un precedente importante
Si tratta del primo procedimento civile in Italia in materia climatica contro un’impresa privata. Inizialmente, il Tribunale di Roma aveva sospeso l’iter processuale, chiedendo alla Cassazione di pronunciarsi sulla possibilità di procedere. Eni, infatti, aveva contestato la giurisdizione del giudice ordinario, sostenendo che in Italia non fosse possibile intentare cause di questo tipo. Le associazioni, però, hanno fatto ricorso, ottenendo ora il riconoscimento della legittimità della loro azione.
Parallelamente, la compagnia aveva avviato a luglio 2023 una causa per diffamazione contro Greenpeace e ReCommon, chiedendo un risarcimento per le campagne di sensibilizzazione da loro lanciate sul tema.
La soddisfazione degli ambientalisti
In un comunicato congiunto, Greenpeace e ReCommon hanno definito la decisione della Cassazione un “passo storico”. Per le due organizzazioni, la sentenza segna un punto di svolta: “anche grandi multinazionali come Eni devono rispondere delle proprie responsabilità. Ora i giudici potranno entrare nel merito delle accuse: chi inquina e alimenta la crisi climatica non può sottrarsi alle conseguenze”.
Secondo le associazioni, l’impatto di questa pronuncia andrà oltre la singola vicenda, rafforzando tutte le cause climatiche in corso o future in Italia e collegando la tutela dei diritti umani agli obblighi di protezione ambientale, in linea con quanto già affermato dalla Corte europea dei diritti umani.
Un aspetto rilevante dell’ordinanza riguarda anche le attività di Eni all’estero: i giudici italiani possono occuparsene, sia perché gli effetti negativi ricadono in Italia, sia perché le decisioni vengono prese dalla sede centrale del gruppo, situata nel nostro Paese.
Il nodo delle “querele bavaglio”
La vicenda si intreccia con un altro tema: quello delle azioni legali considerate strumentali. Non a caso, Eni è risultata “vincitrice” dell’ultima edizione dell’“European Slapp Contest”, un evento che denuncia in maniera ironica l’uso delle cosiddette “querele bavaglio” – ossia procedimenti giudiziari usati da soggetti potenti per zittire giornalisti, ricercatori e attivisti.
Tra i casi citati c’è proprio la causa intentata contro Greenpeace e ReCommon. L’azienda, interpellata in merito, ha respinto l’accusa di voler limitare la libertà di espressione delle associazioni ambientaliste.
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